TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO 
                        Sezione Terza penale 
 
    Il  giudice,  dott.  Paolo  Gallo,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza nella causa penale contro T. R. , nato  il  ...  a  Torino,
elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. presso il  difensore  di
fiducia, avv. Sonia Maria Cocca del Foro di Torino, libero  presente,
imputato del reato  di  cui  all'art.  628,  comma  2  codice  penale
perche', immediatamente dopo aver sottratto due bottiglie di  liquore
dall'esercizio commerciale «...» di Torino, via ... usava violenza  e
minaccia al fine di assicurarsi il possesso dei beni e l'impunita'. 
    Torino, 24 aprile 2019. 
    Recidivo specifico. 
    Verso le ore 17,10 del 24 aprile 2019 l'odierno  imputato  entro'
nel  supermercato  «...»  di  Torino,  via  ...  Giunto  nel  reparto
alcolici, prese due bottiglie di liquori, le nascose all'interno  del
giubbotto che indossava e  si  avvio'  verso  le  casse  (per  queste
notizie, e quelle che seguono, si veda il verbale di arresto in  data
24 aprile 2019). 
    Attraverso   le   telecamere   a   circuito   chiuso   installate
nell'esercizio, pero', una dipendente del supermercato (tale S. C.  )
aveva  osservato  l'intera   sequenza,   e   percio'   si   avvicino'
all'imputato contestandogli cio' che aveva  veduto.  Il  T.  ,  senza
ammettere alcunche', continuo' a camminare  verso  l'uscita  e  venne
lasciato infine indisturbato dalla dipendente, la quale  era  rimasta
in qualche modo intimorita dal suo atteggiamento (dal verbale di s.i.
a firma della donna non emerge peraltro che  in  questa  fase  il  T.
abbia usato violenza o minaccia). 
    Subito dopo, pero', il T. fu affrontato da un uomo di colore,  il
nigeriano I. J. (descritto negli atti di P.G. come un  «cliente»  del
supermercato, ma indicato dall'imputato - piu' credibilmente  -  come
un soggetto che stazionava all'uscita dell'esercizio per  aiutare  la
clientela e riceverne  qualche  obolo):  questi  cerco'  di  impedire
l'uscita  del  T.,  ma  l'imputato  «con  spintoni  e  strattonamenti
riusciva a divincolarsi e  darsi  alla  fuga  con  due  bottiglie  di
alcolici» (cosi', testualmente, il verbale a firma del predetto). 
    Il T. venne infine  raggiunto,  pochi  secondi  piu'  tardi,  dal
personale di sorveglianza del  supermercato,  che  recupero'  le  due
bottiglie e convinse l'imputato ad attendere l'arrivo  del  personale
di polizia di stato. 
    Infine gli agenti della Questura di Torino, sopraggiunti dopo una
decina di minuti, redassero verbale di arresto in  flagranza  del  T.
per il delitto di rapina impropria. 
    T. R. e' stato cosi'  presentato  in  udienza  per  la  convalida
dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo,  nel  corso  del
quale ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato. All'odierna
udienza le parti hanno discusso la causa. 
    Prima  di  emettere  la  sua  decisione  questo  giudice  ritiene
necessario  il  pronunciamento  della  Corte   costituzionale   sulla
compatibilita' della norma di  cui  all'art.  628,  comma  2,  codice
penale con i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale. 
    Va brevemente premesso - per quanto attiene alla rilevanza  della
questione  qui  proposta  -  che  alla  stregua  dei  verbali   sopra
riportati, che non v'e' ragione di reputare inveritieri, i  fatti  si
sono verificati in maniera pienamente conforme al paradigma normativo
dell'art. 628,  comma  2  codice  penale:  pochi  secondi  dopo  aver
sottratto due bottiglie di liquore, e quando non  era  ancora  uscito
dal supermercato, il T. spinse  e  strattono'  il  nigeriano  I.  per
allontanarsi, e cosi'  assicurarsi  il  possesso  delle  bottiglie  e
sfuggire all'identificazione. 
    Per quanto modesta possa essere stata la violenza adoperata (l'I.
ha parlato solo di spinte e strattoni, senza percosse  ne'  tantomeno
lesioni), essa va ritenuta pur  sempre  sufficiente  a  integrare  il
delitto  contestato,  e  cio'  alla  luce  della  giurisprudenza   di
legittimita'  che  ancora  di  recente  ha  affermato:  «La  violenza
necessaria per l'integrazione dell'elemento  materiale  della  rapina
puo' consistere anche in una  spinta  o  in  un  semplice  urto»  (C.
cassazione, Sez. 2a, sentenza n. 3366  del  18  dicembre  2012  -  23
gennaio 2013, RV 255199). 
    Sussistono dunque tutti gli elementi costitutivi  del  contestato
reato di rapina impropria, e questo giudice dovrebbe  determinare  la
sanzione  irroganda  (salva   l'ovvia   applicazione   di   eventuali
attenuanti  e  della  diminuente  conseguente  al  rito   processuale
adottato) all'interno della cornice edittale  di  cui  all'art.  628,
comma 1, codice penale, le cui sanzioni sono richiamate,  in  maniera
«automatica», dal comma 2. 
    E' noto che da sin da  epoca  remota  la  dottrina  dubita  della
ragionevolezza della stessa esistenza del delitto di rapina impropria
come figura autonoma di «reato  complesso»  (art.  84  c.p.)  che  si
sostituisce ai reati  di  furto  e  violenza  privata.  Ha  suscitato
critiche, in particolare, l'identita'  di  trattamento  sanzionatorio
per due fattispecie - la rapina propria e quella impropria - che  sia
nella  coscienza  comune,  sia   nell'analisi   criminologica,   sono
avvertite come assai diverse tra  loro,  e  connotate  da  differenti
gradi di disvalore. 
    Queste   perplessita'   sono   oggi   accresciute   dal   recente
inasprimento del trattamento sanzionatorio introdotto con la legge n.
103 del 23 giugno 2017, la quale ha portato il minimo edittale  della
pena detentiva di cui all'art. 628, comma 1, codice  penale  ad  anni
quattro di reclusione, ma nulla ha innovato per  quanto  concerne  il
comma 2 e l'«effetto di trascinamento» che esso prevede. 
    Il descritto assetto normativo, a sommesso avviso di chi  scrive,
presenta alcuni «punti di frizione» con i valori costituzionali. 
a) Violazione dell'art. 3 Cost. 
    La violazione del  principio  di  uguaglianza  puo'  essere  bene
apprezzata ove si considerino i diversi modi in cui puo'  atteggiarsi
il rapporto tra l'aggressione al  patrimonio  (=sottrazione  di  cosa
mobile altrui) e l'aggressione alla persona (=violenza o minaccia): 
        al comma 1 dell'art. 628 del codice penale  (rapina  propria)
la  legge  prevede,  e  punisce  con  pene  giustamente  severe,   la
situazione in cui la  violenza  precede  la  sottrazione  della  cosa
altrui: il rigore del  legislatore  e'  qui  pienamente  giustificato
perche' colpisce un soggetto che  ha  dolosamente  premeditato,  come
strumento fondamentale della  sua  azione  delittuosa,  l'aggressione
all'incolumita' fisica  altrui.  Il  delitto  di  rapina  propria  si
connota  dunque,  quanto  all'elemento  oggettivo,   per   il   ruolo
fondamentale, centrale, primario dell'aggressione  alla  persona,  la
quale costituisce il primo approccio dell'agente alla vittima; quanto
all'atteggiamento  psicologico   si   connota   per   un   allarmante
atteggiamento della volonta', che non esita a progettare l'uso  della
violenza alla persona a fini patrimoniali. 
        nel comma 2 la situazione di fatto e' profondamente  diversa:
qui l'agente  ha  deciso  di  perseguire  la  finalita'  di  illecito
arricchimento in maniera non violenta, ma per cosi' dire, clandestina
(«furtiva», appunto); l'uso della violenza o minaccia, scartato  come
prima  opzione,  si   verifica   quando,   immediatamente   dopo   la
sottrazione, il ladro viene scoperto (sia il fine  di  assicurare  il
possesso della  refurtiva,  sia  quello  di  conseguire  l'impunita',
presuppongono  necessariamente  che  taluno  si  sia  accorto   della
condotta furtiva in atto): ecco allora che  l'uso  della  violenza  o
minaccia, escluso in prima istanza dall'agente, viene per cosi'  dire
innescato dalla reazione della vittima o di terzi che intervengano in
suo ausilio (per lo piu', ma non necessariamente, la forza pubblica):
a quel punto puo' succedere che la tensione istintiva  alla  liberta'
induca a condotte violente che in origine si erano volute evitare. 
    In sintesi, il fatto che la violenza segua  alla  sottrazione,  e
non la preceda, non sembra poter essere considerato  irrilevante  dal
punto di vista criminologico: esso demarca una diversa e  meno  grave
struttura oggettiva del reato e un diverso  atteggiamento  soggettivo
quanto a intensita' del dolo e capacita' a delinquere. Ad  avviso  di
chi scrive, pertanto, la piena equiparazione delle due situazioni sul
piano  della  «risposta»  dell'ordinamento  penale  costituisce   una
parificazione arbitraria, che non tiene conto del  diverso  disvalore
delle due condotte esaminate. 
    la disposizione dell'art. 628, comma 2 del codice  penale,  oltre
ad equiparare ingiustamente situazioni di fatto diverse,  rivela  una
ulteriore disparita' di trattamento laddove la situazione dell'autore
di una rapina impropria - cioe' colui che  usa  violenza  o  minaccia
immediatamente dopo la sottrazione - sia raffrontata  con  quella  di
chi commetta dapprima un furto e poi, dopo un tempo apprezzabile, usi
violenza per conservare la cosa sottratta e/o conseguire l'impunita':
e' il caso, comune nella  prassi,  del  ladro  d'auto  che,  guidando
l'auto da lui rubata qualche ora prima, forzi un posto di blocco.  In
quest'ultimo  caso  la  contestazione  del   reato   di   rapina   e'
assolutamente preclusa perche' manca  la  successione  immediata  fra
sottrazione e violenza, e il reo si vedra' contestare  i  meno  gravi
delitti di furto e resistenza a P.U. 
    La differenza tra le due  situazioni  risiede  unicamente  in  un
problematico elemento  temporale:  nel  primo  caso  la  violenza  e'
esercitata «immediatamente  dopo»  la  sottrazione,  nel  secondo  e'
commessa dopo il trascorrere  di  un  tempo  piu'  lungo.  La  prassi
giudiziaria mostra cosi' continue discussioni tra  difesa  e  accusa,
rispettivamente impegnate a  dimostrare  la  lunghezza  di  un  certo
intervallo temporale ovvero, al contrario, la sua brevita'  (o  -  in
alternativa - che quell'intervallo sia stato occupato da un  continuo
inseguimento). 
    Ad avviso di chi scrive occorre invece affrontare  una  questione
diversa: e' ragionevole la disparita' di trattamento  dell'autore  di
un furto a  seconda  che  egli  -  ceteris  paribus  -  usi  violenza
immediatamente dopo la sottrazione ovvero a distanza  di  un  maggior
tempo da essa? Che differenza v'e' tra la condotta del ladro  di  una
bicicletta che si divincoli dal proprietario intervenuto subito  dopo
la sottrazione, e quella del medesimo ladro che  si  divincoli  nello
stesso modo essendosi casualmente imbattuto nel proprietario  qualche
ora dopo? Il  diverso  trattamento  giuridico  rispecchia  una  reale
differenza - sul piano criminologico o, se si  vuole,  assiologico  -
tra le due situazioni di fatto? 
    Chi  scrive   ha   cercato,   nella   produzione   dottrinale   e
giurisprudenziale, una riflessione che tenti di spiegare  in  qualche
modo la maggior gravita' - postulata dal legislatore  -  della  prima
ipotesi rispetto alla seconda; ma si e' trattato di ricerca  vana,  a
cominciare dal fondamentale  trattato  del  Manzini.  Pare  a  questo
giudice  che  la  maggiore  o  minore  distanza  cronologica  tra  la
sottrazione  e  l'uso  della  violenza  sia  un  aspetto   totalmente
irrilevante sotto  il  profilo  della  gravita'  della  condotta:  in
entrambi i casi si hanno un attacco al patrimonio e un  attacco  alla
persona di eguale gravita' sia sul piano oggettivo che soggettivo. 
    La disposizione dell'art.  628,  comma  2  codice  penale  sembra
dunque in contrasto con  l'art.  3  Cost.  anche  perche'  tratta  in
maniera diversa situazioni di fatto che sul piano della condotta, del
dolo, del pregiudizio alle vittime e di ogni altro aspetto penalmente
significativo sono identiche. 
    Questa lamentata disparita' di trattamento sancita dall'art. 628,
comma 2 del codice penale, in raffronto con la disciplina applicabile
quando  la  violenza  non  segue  immediatamente  alla   sottrazione,
concerne aspetti normativi che a loro  volta  involgono  principi  di
natura costituzionale, e si traduce percio' nella  lesione  di  altri
principi costituzionali fondamentali. 
b) Violazione dell'art. 25, comma 2 Cost. 
    Come e' noto, con il suo espresso richiamo  al  «fatto  commesso»
l'art. 25, comma  2  della  nostra  Carta  costituzionale  ha  inteso
riconoscere  rilievo  fondamentale,  a  fini   punitivi,   all'azione
delittuosa  per  il  suo  obiettivo   disvalore.   Ne   discende   la
costituzionalizzazione del «principio di offensivita'»,  che  implica
la necessita'  di  un  trattamento  penale  differenziato  per  fatti
diversi e,  a  monte,  la  necessita'  di  distinguere,  in  sede  di
redazione  delle  norme  penali  incriminatrici,  i   vari   fenomeni
delittuosi per le  loro  oggettive  caratteristiche  di  lesivita'  o
pericolosita'. 
    L'attuale disciplina giuridica della  situazione  in  cui  taluno
debba rispondere di un furto, e di una violenza privata (o resistenza
a P.U.) commessa non immediatamente dopo al  fine  di  conseguire  il
possesso della refurtiva o l'impunita', e' palesemente rispettosa  di
questo principio. 
    Per il furto e' prevista infatti una pena minima edittale di  sei
mesi di reclusione piu' multa, che si eleva nelle specifiche  ipotesi
di cui all'art. 624-bis del codice penale e  che  puo'  eventualmente
subire l'incidenza delle numerose aggravanti di cui all'art. 625  del
codice  penale  e  del  giudizio  di   comparazione   con   eventuali
attenuanti.  Per  quanto  attiene  alla  violenza  che   segue   alla
sottrazione, l'art. 610 del codice penale  consente  di  graduare  la
pena detentiva da quindici giorni fino a quattro anni, mentre  l'art.
337 del codice penale (ove la vittima della violenza sia un  pubblico
ufficiale) prevede pene da sei mesi a cinque anni  di  reclusione.  A
tutto questo si aggiunge la disciplina del cumulo giuridico  previsto
dall'art.  81  del  codice  penale.  Esiste  dunque  un   corpus   di
disposizioni  assai  dettagliate  ed  evolute   che   consentono   di
ragguagliare la sanzione all'effettiva gravita' del fatto concreto in
tutte le sue sfaccettature. 
    La disposizione di cui all'art. 628, comma 2 del  codice  penale,
invece, si caratterizza per una vistosa  indifferenza  rispetto  alle
caratteristiche concrete del fatto: qualunque sottrazione, quando sia
immediatamente seguita da violenza o minaccia,  ancorche'  lievi,  e'
reputata  dal  legislatore  meritevole  di  almeno  quattro  anni  di
reclusione. Alla stregua dell'art. 628, comma 2 del codice penale, se
un tentativo di furto e' seguito da  un  atto  violento  o  minatorio
tutte le sopra elencate particolarita' vengono «azzerate», e non v'e'
piu' differenza, ad esempio, se la violenza segue  al  furto  di  una
costosa autovettura  commesso  con  effrazione  sulla  pubblica  via,
ovvero segue al furto semplice di due  bottiglie  di  liquore  in  un
supermercato. La disposizione in esame, in altre  parole,  si  rivela
una disposizione «rozza» in cui tutto viene  sacrificato  sull'altare
della «esemplarita'» sanzionatoria. 
c) Violazione dell'art. 27 Cost. 
    Viene in rilievo particolarmente il comma 2, secondo cui «le pene
non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e
devono tendere alla rieducazione del condannato». 
    La  formulazione  della  norma,  come   e'   noto,   richiama   e
costituzionalizza il principio di proporzionalita' della pena  (nelle
sue  due  funzioni  retributiva  e  rieducativa),  perche'  una  pena
sproporzionata alla gravita' del reato commesso da un lato  non  puo'
correttamente  assolvere  alla  funzione  di   ristabilimento   della
legalita' violata, dall'altro  non  potra'  mai  essere  sentita  dal
condannato come rieducatrice: essa gli apparira' solo come brutale  e
irragionevole vendetta dello stato, suscitatrice di ulteriori istinti
antisociali. 
    Ad  avviso  di  chi  scrive  l'inflizione  di  quattro  anni   di
reclusione piu' multa per la sottrazione di due bottiglie di  liquore
seguite da qualche strattone non puo' essere considerata una risposta
sanzionatoria proporzionata. Cio' risulta particolarmente vero ove si
raffronti la condizione dell'autore di una rapina impropria -  ancora
una volta - da un lato con quella dell'autore di una  rapina  propria
(che cioe' ha consapevolmente scelto ab initio di usare violenza alla
persona), dall'altro con la condizione di chi  abbia  usato  violenza
alla  persona  in  un  momento  non  immediatamente   seguente   alla
sottrazione, e che percio' rispondera' di furto e violenza privata. 
    Va a questo punto chiarito quale sia l'auspicato intervento della
Corte costituzionale. 
    Le considerazioni sopra svolte rendono evidente come,  ad  avviso
di chi scrive, il nostro ordinamento penale non abbia  alcun  bisogno
della disposizione dell'art. 628, comma 2 del codice penale: le norme
che disciplinano le varie ipotesi  di  furto  (consumato  o  tentato,
semplice o aggravato) consentono una repressione penale adeguata alle
caratteristiche delle diverse condotte predatorie  possibili,  mentre
le disposizioni in tema di violenza  e  minaccia  come  strumento  di
coazione dell'altrui volonta' (articoli 610 e  337  c.p.)  consentono
parimenti un'adeguata repressione della successiva condotta  violenta
del ladro, sia che essa segua immediatamente  alla  sottrazione,  sia
che sia attuata dopo un tempo piu' lungo. Ove si obietti  che  questa
soluzione comporterebbe un indebolimento della risposta  dello  stato
al delitto, va osservato che la stragrande maggioranza  dei  processi
per rapina impropria concerne, come e' noto a chi amministra da tempo
la giustizia penale, episodi di modestissima  gravita',  rispetto  ai
quali la  sanzione  minima  di  quattro  anni  di  reclusione  appare
vistosamente sproporzionata, mentre  per  i  pochi  episodi  di  piu'
elevato allarme sociale la  prudente  applicazione  giudiziale  delle
norme  sopra  citate,  e  un  consapevole  governo  dei  criteri   di
determinazione  della  pena  di  cui  all'art.  133  codice   penale,
assicurano comunque un trattamento sanzionatorio equo. 
    Questo giudice chiede pertanto che la Corte costituzionale voglia
condividere  i  rilievi  di  incostituzionalita'  sopra   esposti   e
dichiarare  sic  et   simpliciter   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art.  628,  comma  2  codice  penale,  fermi  restando  tutti  i
rimanenti commi del medesimo articolo, cosi' rendendo applicabili,  a
quelle ipotesi che attualmente si configurano come  casi  di  «rapina
impropria», le disposizioni di cui agli articoli da  624  a  626  del
codice penale e agli articoli 610 e 337 del codice penale.